Questioni di semantica
Ho comprato a Vienna un libro che si chiama Dreaming Jewelry (edizioni Monsa, Barcellona). All’interno, lo spazio è dedicato a una cinquantina di artisti noti e di tutto il mondo, praticamente. Anche per chi segue poco quel che succede nel gioiello contemporaneo è una panoramica interessante. Il libro prende il tempo di dedicare almeno quattro pagine di immagini (molte le ritrovate sul sito degli artisti) a ogni autore e un mini testo introduttivo in spagnolo e inglese.
Ho sfogliato e risfogliato quel libro. C’è Liana Pattihis con i suoi smalti rossi pieni fuoco, Helen Britton con i colori e le forme pazze, Susanne Klemm, purissima, quasi “clinica”, Arata Fuchi con quell’effetto lana cotta che ricopre molti dei suoi gioielli e l’unico italiano, Fabrizio Tridenti, con le sue creazioni di archeologia industriale che amano la mono tinta. In copertina, una spilla del bulgaro Nikolay Sardamov: coleotteri dorati fanno il girotondo formando una coroncina…
Qualcosa mi lascia perplessa… il titolo. Gioielli che fanno sognare… Sì è vero sono opere interessanti, spesso provocatorie, emozionanti (ma non sempre) e a volte evocative. Ma si possono definire “da sogno”? Riflessioni. Un titolo caduto lì per caso, perché ormai si dà sempre meno valore alle parole e al loro significato? Oppure i miei sogni sono molto molto banali e poco assomigliano a questo universo di forme urlate nella materia. O forse la prima provocazione – e la grande ironia – di questo libro comincia proprio dal titolo? Io voglio optare per l’ultima soluzione.
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