Schmuck 2023 – Alla ricerca del ROSSO di Therese Hilbert
Già il piacere dopo così tanto tempo (Covid time!) di tornare a Monaco di Baviera per la settimana di Schmuck (l’appuntamento annuale e imperdibile di gioiello contemporaneo internazionale da più di 60 anni con relativo prestigiosissimo premio Herbert Hoffman) e tutta la serie di eventi e mostre che, dal 2015, sono facilmente identificabili come Munich Jewellery Week.
Come da tradizione ogni anno parallelamente si inaugura una mostra sempre interessante e super completa, spesso monografica, al Design Museum della Pinakothek der Moderne, ovvero Die Neue Sammlung. Quest’anno è la volta di conoscere in profondità il lavoro di Therese Hilbert.
Usciamo quindi dall’ignoranza (parlo per me) e scopriamo che è nata a Zurigo nel 1948, dove ha studiato alla Kunstgewerbeschule sotto la guida dell’orafo Max Fröhlich, per poi trasferirsi definitivamente nel 1972, con il marito Otto Künzli, a Monaco di Baviera dove ha continuato gli studi all’Akademie der Bildenden Künste con il professor Hermann Jünger. E allora vai con premi e riconoscimenti: Herbert Hofmann Preis nel 1974; nel 1978 diploma dell’Akademie; nel 1986 Förderpreis della città di Monaco di Baviera; nel 2001 Bayerischer Staatspreis.
La mostra monografica è cominciata una quindicina di giorni fa e durerà fino al 30 luglio 2023. Partiamo dal titolo: Therese Hilbert. ROT se lo vogliamo in inglese Therese Hilbert. RED
Un colore, una parola corta e incisiva (almeno nelle due lingue germaniche) che diventa titolo e la cui scelta è stata un po’ come una illuminazione… come racconta la curatrice Petra Hölscher di Die Neue Sammlung in uno dei testi del catalogo di arnoldsche Art Publishers con copertina di tela fiammeggiante.
Arrivo all’anteprima della mostra con il titolo in testa: ROSSO (noi italiani ci dilunghiamo sul concetto con cinque lettere) e subito mi metto a cercarlo con gli occhi. Si presenta ben evidente nell’allestimento della grandissima sala circolare a ballatoio sottolineato da una fascia vermiglia.
La mostra, al cui allestimento ha attivamente partecipato l’artista, si sviluppa in senso cronologico. Si comincia dal 1966. Nelle prime vetrine non c’è colore: molto argento, grande precisione, purezza. Una certa composta austerità delle spille rotonde. Una del 1974, tutta argento, un’idea d’oro. Lo stesso dicasi per la serie di broches quadrate, appena accennate.
Appena più in là il primo “ROSSO” mi attira. La metà di una mela con il suo torsolo attraversato dal tempo e un paio di orecchini ciliegia nei quali si intravede il nocciolo. Con il pendente mela Therese aveva vinto il primo premio in un concorso di fashion jewellery nel 1973 a Neugablonz e ora, come racconta Angelika Nollert, direttrice di Die Neue Sammlung, entrerà a far parte della collezione permanente del museo. Un pezzo definito “Intermezzo” nel catalogo che mi tengo accanto mentre scrivo questo post poiché effettivamente appare come una piccola digressione stilistica.
Torno a cercare il ROSSO. È protagonista di un pezzo molto forte, del 1983, un collier grande che potrebbe abbracciare il busto. È come una corona di spine, ma formato da lapis senza punta.
Poco lontano una serie di spille d’ottone dalla forma di scale appuntite con una sfumatura dorata. Le punte diventano spine o frecce.
Si resta ancora nel non colore dell’argento e le forme pungenti si accompagnano a volumi pieni e arrotondati, sono stelle o pianeti. Vasi, anfore, recipienti tondeggianti come pendenti o spille si fanno strada come ricettacoli di qualcosa da conservare assolutamente. Siamo negli anni Novanta.
Cerco quel filo conduttore evocato nel titolo della mostra, quel ROSSO che riemerge di quando in quando e che gioca in presenza-assenza come un fiume di fuoco sotterraneo.
Nella serie di spille Nea Kameni, dedicate alla piccola isola greca all’interno della caldera di Santorini, il ROSSO appare di nuovo come uno sgorgare di lava infuocata, ma si smorza subito nell’argento annerito. A partire dal 1995 esce allo scoperto con più frequenza… e il tema del vulcano diventa una caratteristica di Hilbert.
A esaltare la sua vivacità bruciante entreranno in un successivo momento il nero dell’ossidiana, e qualche colpo di giallo delle fumarole come nelle immagini sotto di spille del 2009.
Il ROSSO è un gesto di pittura astratta nelle spille del 2004 (anche immagine di apertura); si intravede nelle fenditure della piccole cupole scure del 2007-2009. E l’idea del vulcano è sempre là. Potente, inaccesibile forza, silenzioso gigante che custodisce in sè i segreti della natura.
Ci si ritrova spesso a passeggiare per le isole greche di origine vulcanica tra le forme coniche in grigio pomice e lava: il ROSSO riemenge nel filo che tiene il pendente (2009), è appena un bordo che delimita l’ossidiana che rievoca l’isola di Milos (2010).
Il ROSSO è come magma incandescente nei ricettacoli a forma di imbuto vorticoso; brucia come una fiamma il bordo delle spille circolari carbonizzate (2020).
E poi, proprio alla fine, in una notte serena, i lapilli fuoriescono dal vulcano accendendo una curva infuocata, come lampi inconsueti, inattesi e pungenti.
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