
La prima volta che ho preso in mano una creazione di Claude Chavent ero nella galleria di
Hélène Porée a Parigi. Me lo ricordo benissimo era un
pendentif rotondo, leggermente bombato con un foro centrale. Dava l’idea di una simpatica e ingannevole pienezza. Ne ricordo poi un altro, oro e nero, con un motivo un po’ optical e deformato in larghezza. Anche in questo c’era l’illusione birichina di chissà quale
profondità prospettica ma al tatto la scoperta di una
assoluta piattezza. Ero entrata nel regno di una geometria bidimensionale, del segno di matita tracciato sul foglio che diventava ornamento in tutta la sua serietà matematica. Claude Chavent, lionese, classe 1947, è un nome nel gioiello contemporaneo francese e quindi rappresentato al
Musée des Arts Décoratifs con un fantastico collier d’argento e oro.

Siamo qualche anno dopo nella casa-atelier dell’artista. Un minuscolo paese nel sud della Francia non lontano da Montpellier. Muri antichi, tante scale, un giardino interno, un piccolo orto appena nato. Il sole e tanto vento. Ora sono davvero fisicamente in questo dominio del “solido in versione piatta”.

Sono qui per scoprire e toccare i gioielli come disegni “ritagliati” che prendono volume quando incontrano la luce, ma restano sempre fedeli nei colori al nero, al giallo e al grigio.

Entrando vedo appesa alla parete un’enorme spilla… ma no certo, una scultura per meglio dire,
un cubo o quasi, appiattito sul muro. Poi mi giro e in un angolo del salotto ondeggia l’incanto di un
tappeto volante. Di
ferro. La forma che la scultura porta nell’aria è una di quelle care all’artista, anche se questa volta la terza dimensione irrompe come inevitabile. Sculture, gioielli, Chavent si diverte a
giocare anche con le grandi dimensioni. E la cosa interessante è che a volte, prese fuori dal loro contesto come in una fotografia, le spille possono apparire sculture e viceversa.

E poi ecco i gioielli: le spille a croce e a doppio cerchio, gli anelli che appaiono tagliati nella materia, di sghembo, altre
broches come virgole o parentesi quadre, pennellate di precisione. I pezzi sono unici o realizzati in piccole serie che arrivano al massimo fino a 7.

Per ultimo vi parlo del mio gioiello preferito, del 2003, che riassume – a mio parere – un po’ tutto il mondo di Claude Chavent. È una grande spilla con una
tripla “anima”, se si guarda assemblata è un muro nero un po’ in sbieco illuminato da profili d’oro. Se si separa, il muro si scheggia ed emergono tre elementi autonomi dove, in alcuni casi, il giallo dell’oro prende il sopravvento.
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