“Fare” cultura a Modena
Arrivavo a Modena direttamente da Torino. Era fine ottobre. Torino fremeva alla vigilia delle celebrazioni dell’Unità e già metteva in mostra a Palazzo Reale un po’ di storia italiana con Vittorio Emanuele II protagonista. Dico questo perché alla mostra scopro, o anzi riscopro, che uno dei “pezzi” del puzzle che andarono a formare l’Italia fu proprio il Ducato di Modena (che in verità comprendeva un territorio molto più ampio). Quello di cui non mi ero resa conto è che il Ducato di Modena avesse resistito come tale fino a tempi così relativamente recenti.
Sorpresa di questa casualità storico-patriottica che mi portava a visitare le due città una dopo l’altra mi accingevo a scoprire Modena. Grandiosità condensata in poco spazio. Palazzi imponenti, pochi fronzoli. Portici e biciclette. Vitalità senza caos. Mi sentivo bene.
Lo scopo del viaggio: la Galleria Mies (l’indirizzo e altro nella colonna a fianco GALLERIE). All’epoca aveva da poco inaugurato una mostra su Alberto Zorzi e concluso quella su Stefano Alinari. Ancora prima avevano ospitato Jacqueline Ryan e la brillantezza dei suoi smalti, Stefania Lucchetta e gli anelli astronave di titanio. L’indirizzo è centralissimo in una piazzetta appartata. Questo per quanto riguarda le mostre perché poi i molti artisti rappresentati si trovano con le loro opere in vendita in uno spazio con vetrina su una strada più frequentata. Sono rimasta “nelle gallerie” Mies tutta la mattina…
Parlando con Roberta e Marco – i proprietari – di progetti, programmi, passioni, storia, mi è sembrato di essere avviluppata da una specie di nebbia azzurrina: fare un viaggio indietro nel tempo nel fermento e nella progettualità (dei primissimi Settanta?) di impegno e di cultura italiana geniale e anche un po’ scomoda e ruvida come un mal di gola.
Sensazioni. Ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte a una squadra con un progetto, non solo di lavoro, ma di vita. Una volontà di fare cultura. Usando il “fare” nel senso più concreto e artigianale, mettendoci le mani, impastando e tirando fuori qualcosa di molto personale. Non solo per essere intermediari tra l’opera e il pubblico, ma per essere loro stessi percorsi coerenti che partono dal gioiello o dalla scultura, ma che si riversano nell’editoria, nella consulenza stilistica, nella produzione video, nella fotografia andando di volta in volta a toccare le sfaccettature più significative di un artista o di un’opera.
Solo due esempi, che forse rendono solo marginalmente quello che ho detto fino a ora. Hanno portato in galleria come dicevo le opere di Stefano Alinari (che lavora nella sua bottega d’alchimista a Firenze con i colori delle pietre come fossero pozioni magiche) e lo hanno fatto diventare protagonista di un cortometraggio alla scoperta di se stesso nei controluce della sua città. Da proiettare in loop nella ultima saletta della galleria.
Mi mostrano una bella pubblicazione realizzata per la mostra Fibulae/Spille dell’anno scorso dedicata alle spille di grandi come Mariani, Reister, Ryan. Contributi scritti di altissimo livello. Bella copertina metallica. È un catalogo-libro–oggetto artigianale e numerato. Fotografie in bianco e nero. Scelta sofisticata il bianco e nero. Difficile e un po’ impertinente quando si tratta di gioielli.
Oggi da loro si inaugura la mostra di Benito Aguzzoli Angolature esterne. Si parla di arte fotografica in questo caso, geometrie, particolari, punti di vista. Mi piace l’invito perché non ho capito cosa sia l’immagine. Una foto di un quadro? Una installazione fotografata? L’immagine di una spilla? Un mistero da scoprire fino al 20 febbraio.
bel blog passa dal mio se vuoi è in costruzione