L’Aquila: fermo immagine
Ci sono storie, idee che girano e rigirano in testa per molto tempo prima di trovare la loro forma visibile sul foglio o meglio sulla pagina word dello schermo. Ecco una di quelle storie! È luglio 2010 quando incontro la prima volta Paolo Mazzeschi, orafo a L’Aquila. In quel caso ci trovavamo a Senigallia per una mostra collettiva di gioiello contemporaneo di cui ho parlato in due articoli di questo blog.
La parola “L’Aquila”, mi colpisce perché ci ero stata appena un mese prima. L’esperienza era stata agghiacciante. Mi ero portata la macchina fotografica per prendere qualche immagine. Non avevo il coraggio di tirarla fuori dalla borsa. Mi sentivo in colpa e in imbarazzo di fronte alla gente. Era passato più di un anno dal terremoto e il centro sembrava essersi fermato al giorno della scossa. Tutti i palazzi, antichi in quella zona, erano imbracati, fasciati, puntellati, alcuni mezzi crollati, altri solo lievemente danneggiati in apparenza, tutto chiuso, tutto deserto. Queste immagini, senza commento, mi restano stampate in testa. Ed è così che qualche mese dopo incontro Paolo, appunto. Ed ecco il racconto, difficile.
Si riparte indietro nel 1990 con l’apertura del primo laboratorio di oreficeria. Poi il 2003 e Paolo entra a far parte dell’AGC (Associazione Gioiello Contemporaneo) e arriva anche la voglia di creare qualcosa di più grande, Now Art, che sia laboratorio, ma anche galleria e anche scuola. Nel 2007 trova in affitto uno spazio perfetto in un palazzo del Settecento, 350 metri quadri, soffitti alti 8 metri. Due anni di lavori. Di investimenti. Di soldi spesi per un’idea, che era quasi diventata una “fissazione”. Poi tutto è pronto: i macchinari per fusione, modellazione, le postazioni, la fonditrice a induzione sottovuoto e tutto il resto il 18 aprile 2009 ci sarebbe dovuta essere l’inaugurazione. Il 22 aprile sarebbero cominciati i corsi organizzati con l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Invece il 6 aprile…
Nei giorni e nei mesi successivi una parte dei macchinari è a fatica recuperato, qualcosa con l’aiuto dei vigili del fuoco, a braccia, qualcosa viene fatto passare dalla finestra. Ma il palazzo, come tutti, non è agibile e la permanenza all’interno deve essere sempre limitata.
Questo potrebbe essere solo un capitolo della storia, ma il problema è che tutto sembra essersi bloccato lì. Come tutto il centro a L’Aquila, ha subito un fermo immagine. Il film si è inceppato da qualche parte.
Riprendo ora i miei appunti e rileggo frasi che ho annotato legate al “dopo” terremoto: “notti passate a dormire in macchina” “faccio il laboratorio in casa”, “ho attrezzi dappertutto, in bagno, in cucina”, “laboratorio all’aria aperta sotto un tendone”, “campo al quotidiano”, “darsi da fare, un po’ di volontariato”, “cancellata l’anima progettuale”. Il mosaico può continuare. Io lo voglio lasciare così spezzettato senza aggiungere parole inutili.
Non sento Paolo da fine settembre e mi auguro che le cose abbiano preso una piega diversa. Mi auguro che il titolo che ho dato a questo pezzo sia oggi almeno un po’ superato.
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